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Il contribuente può usare le dichiarazioni di terzi nel giudizio tributario

Anche il contribuente, al pari dell’amministrazione, può utilizzare a proprio favore le dichiarazioni di terzi acquisite in atti fuori dal processo. Lo ha stabilito la Corte di cassazione con sentenza del 2 ottobre 2019 (cassazione-sentenza-2-ottobre-2019-n-24531).

La Suprema Corte ha ricordato che nel processo tributario il divieto di prova testimoniale posto dall’articolo 7 del Dlgs 546/92, si riferisce alla prova da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento. Tali dichiarazioni, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice.

Le dichiarazioni hanno il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e qualora rivestano i caratteri di gravità, precisione e concordanza (di cui all’articolo 2729 del Codice civile) diventano presunzioni. In tale contesto, al fine di evitare che l’ammissibilità di dette dichiarazioni possa pregiudicare la difesa del contribuente ed il principio di uguaglianza delle parti, la Cassazione ha precisato che è necessario riconoscere anche alla parte privata la possibilità di introdurre nel giudizio innanzi alle commissioni tributarie le dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale. Ciò per far valere le proprie ragioni da trattare come indizi da valutare. Solo così infatti è rispettata la parità di armi tra Fisco e contribuente.

La sentenza: cassazione-sentenza-2-ottobre-2019-n-24531

Fonte: Il Sole 24 Ore

L’oggettiva difficoltà a reperire la documentazione esonera il contribuente dall’onere probatorio negli accertamenti bancari

Confermando parzialmente la sentenza dei giudici di prime cure, che avevano accolto l’appello del contribuente per mancata instaurazione del contraddittorio endoprocedimentale, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento nella parte in cui ricostruisce i redditi sulla base dei movimenti finanziari non documentati, stanti le “gravi difficoltà a reperire la documentazione bancaria risalente ad operazioni di oltre cinque anni essendo la stessa non più disponibile presso gli istituti di credito che dette operazioni avevano effettuato anche per il fatto che le numerose fusioni e incorporazioni avvenute con accorpamenti dei vari uffici hanno determinato conclamate e oggettive difficoltà organizzative di detti istituti”.

 

sentenza-ctr-venezia-10-04-2017-n-481

Lite sulla notifica della cartella: l’onere della prova a carico dell’Agenzia delle Entrate

Nelle liti contro l’Agenzia delle Entrate nelle quali il contribuente eccepisce la notifica della cartella di pagamento, l’onere della prova spetta all’ufficio.   Lo ha stabilito la Suprema Corte con la sentenza 9 novembre 2016. n- 22729, che ha  precisato che, in tema di riscossione attraverso cartella di pagamento, è facoltà del contribuente scegliere se eccepire vizi di notifica o di merito della pretesa. In entrambi i casi, la legittimazione passiva spetta all’ente titolare del credito tributario e non all’agente della riscossione. Quest’ultimo, peraltro, anche ove fosse l’unico destinatario dell’impugnazione, dovrebbe chiamare in giudizio il titolare del credito poiché in caso contrario è tenuto a rispondere dell’esito della lite. Con riguardo all’onere probatorio, nella sentenza si afferma che l’ente creditore può chiamare in causa il concessionario affinché produca la documentazione probatoria necessaria, senza che ciò possa gravare sul contribuente.

Cassazione, sentenza 9 novembre 2016, n. 22729

Fonte: Il Sole 24 ore

 

L’Amministrazione deve provare l’oggettiva inesistenza dell’operazione

In caso di contestazione di emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, l’Agenzia delle Entrate deve provare l’inesistenza dell’operazione economica e non l’esistenza di un ragionevole sospetto in ordine all’inesistenza stessa.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza 11 novembre 2015, n. 23065, secondo la quale, sul piano probatorio, «qualora l’amministrazione contesti l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta alla stessa, adducendo la falsità del documento e quindi l’inesistenza di un maggior imponibile, provare che l’operazione commerciale in realtà non è stata mai posta in essere, anche attraverso elementi presuntivi».

Non è quindi sufficiente la prova da parte dell’amministrazione finanziaria di un «ragionevole sospetto in ordine all’inesistenza dell’operazione economica», ma occorre che la stessa fornisca in giudizio la prova della «inesistenza dell’operazione, anche mediante presunzioni».

Cassazione, sentenza 11 novembre 2015, n. 23065

Grava sul contribuente l’onere probatorio negli accertamenti bancari

La Suprema Corte (sentenza 30 giugno 2015, n. 13369) ha ribadito che negli accertamenti bancari opera pienamente la presunzione di conseguimento dei ricavi pari ai movimenti finanziari non giustificati, superabile solo  con la prova contraria addotta dal contribuente.

Cassazione, sentenza 30 giugno 2015, n. 13369

Spetta all’Amministrazione Finanziaria la prova dell’inesistenza dell’inesistenza soggettiva dell’operazione

Incombe sull’Ente verificatore l’onere della prova della conoscenza (o della possibilità di conoscenza) da parte del contribuente, al momento dell’acquisto del bene, di essere partecipe di un’operazione fraudolenta posta in essere da altri soggetti. Spetta invece al contribuente provare l’ignoranza incolpevole della partecipazione all’operazione fraudolenta.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza depositata 10 giugno 2015, n. 12017.

Corte di Cassazione, sentenza 17.03.2015, n. 12017

Spetta al Fisco provare l’inesistenza delle operazioni fatturate

E’ a carico dell’Ente accertatore l’onere di provare l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. L’assolvimento dell’onere probatorio deve essere valutato dal giudice, che deve motivare in sentenza le ragioni che lo hanno indotto a tale convinzione.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione con sentenza 17 aprile 2015, n. 7845.

E’ onere del contribuente la prova in materia di società di comodo

E’ onere del contribuente provare le circostanze che hanno impedito il conseguimento dei redditi  necessari ad ottenere la disapplicazione delle disposizioni in materia di società di comodo.

Lo ha stabilito la sezione sesta della Corte di Cassazione, che ha stabilito che l’Agenzia delle Entrate non è tenuta a provare l’intento elusivo perseguito da una società di comodo, ma che è onere del contribuente dimostrare le “oggettive situazioni che hanno reso impossibile il conseguimento dei redditi utili ad ottenere la disapplicazione delle disposizioni antielusive”.

Cassazione, ordinanza 15 aprile 2015, n. 7535

E’ onere dell’Agenzia la prova che il contribuente era a conoscenza dell’inesistenza soggettiva dell’operazione

Il contribuente può detrarre l’IVA relativa ad un’operazione inesistente se non conosceva o non non poteva conoscere che il proprio fornitore fosse una “cartiera”.

Lo ha sancito la Commissione Tributaria Regionale di Milano, affermando che la contribuente «non era tenuta ad effettuare controlli contabili sul proprio fornitore, vale a dire se lo stesso aveva tenuto una regolare contabilità e eseguito gli adempimenti fiscali quali, ad esempio, l’invio delle dichiarazioni dei redditi né effettuare altri controlli formali».

Spetta inoltre all’Agenzia fornire la prova della conoscenza o della conoscibilità del disegno criminoso del proprio fornitore.

Commissione Tributaria Regionale Lombardia, sentenza 4 febbriaio 2015, n. 461

Spetta al contribuente la prova nelle “frodi carosello”

Nelle frodi carosello l’acquirente dimostra la sua estraneità se dimostra che le condizioni economiche applicate dal fornitore sono analoghe a quelle adottate da fornitori terzi.

Lo ha sancito la Commissione Tributaria Regionale di Genova nella sentenza del 10 dicembre 2014, n. 69,

CTR Liguria 10.12.2014, n. 69