Non basta lo scostamento per l’accertamento induttivo (Cass. 7.09.2010, n. 19136)
Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 7 settembre 2010, n. 19136
Svolgimento del processo
Il Ministero dell’economia e delle finanze e l’Agenzia delle entrate ricorrono con un motivo per la
cassazione della sentenza della CTR della Campania che ha confermato la decisione di
annullamento dell’avviso di accertamento Irpef e SSN 1992 notificato a difeso.
Motivi della decisione
La CTR ha osservato che l’accertamento di “una evasione di ricavi per circa 40 milioni determinati
tenendo conto di una ricarica del costo del venduto nella misura del 60% … non può considerarsi
legittima in quanto non si fonda su circostanze gravi, precise e concordanti … specie per la
mancanza di rilievi di sorta sulla regolarità ed attendibilità della contabilità tenuta dal contribuente.
Non attribuisce fondatezza e legittimità all’operato accertamento il generico ed immotivato criterio
di determinazione della percentuale di ricarico né in base agli studi di settore perché riferiti ad interi
settori economici né nella misura dichiarata dagli esercenti locali senza che l’Ufficio avesse eseguito
alcuna verifica dei prezzi di acquisto delle merci e di quelli di vendita al pubblico né dimostrato lo
specifico riferimento della percentuale di ricarico del 60% all’azienda accertata …”.
Col ricorso si deduce violazione dell’art. 39 primo comma lettera d) del DPR 600/1973, nonché
dell’art. 2727 cod. civ., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.. Si osserva che il ricorrente non aveva
tenuto le scritture contabili in maniera conforme ai dettami normativi, e che sulla scorta di esse
erano stati rilevati ricavi non dichiarati per lire 39.926,000. Si richiama la costante giurisprudenza
di questa corte secondo la quale l’accertamento induttivo è consentito anche in presenza di una
contabilità formalmente regolare quando le risultanze documentali manchino di ogni credibilità e
congruenza dei valori esposti fra loro e con le caratteristiche dell’impresa. Si aggiunge che la
percentuale di ricarico del 60% era quella risultante per le aziende del ramo dagli studi di settore, e
che lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a tali parametri integra di per sé una fattispecie di
presunzioni gravi, precise e concordanti, che riversa sul contribuente la prova della erroneità
dell’accertamento.
Il ricorso è infondato.
La deduzione circa la irregolarità delle scritture contabili contrasta con l’accertamento contenuto
nella sentenza, non impugnato sotto il profilo del vizio di motivazione.
Quanto all’argomento fondato sul valore presuntivo degli studi di settore previsti dall’art. 62 bis del
D. L. 331/1993 (convertito dalla legge 427/1993), questa corte ha chiarito che in presenza di
scritture contabili formalmente corrette, non è sufficiente, ai fini dell’accertamento di un maggior
reddito d’impresa, il solo rilievo dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di
ricarico diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza – posto che le medie di
settore non costituiscono un “fatto noto”, storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio
critico, quello ignoto da provare, ma soltanto il risultato di una estrapolazione statistica di una
pluralità di dati disomogenei, risultando quindi inidonee, di per sé stesse, ad integrare gli estremi di
una prova per presunzioni -, ma occorre, invece, che risulti qualche elemento ulteriore – tra cui
anche l’abnormità e l’irragionevolezza della difformità tra la percentuale di ricarico applicata dal
contribuente e la media di settore – incidente sull’attendibilità complessiva della dichiarazione,
ovverosia la concreta ricorrenza di circostanze gravi, precise e concordanti (Cass. 2005/26388,
2005/18038, 2000/1511).
Nella specie, dalla sentenza impugnata e dal ricorso non risulta alcun elemento ulteriore, rispetto al
dato dello scostamento fra la percentuale di ricarico media del settore e quella risultante dai dati
contabili dichiarati dall’impresa sottoposta a controllo, che giustificasse la prevalenza del dato
medio su quello dichiarato, nemmeno la abnormità o l’irragionevolezza della difformità rilevata.
Inoltre, la CTR ha osservato che “l’azienda accertata … attraversava un particolare momento della
sua vita economica e gestionale, con specifici riflessi negativi sulla sua redditività anche in
dipendenza della cessazione della attività, che aveva impedito il perseguimento di intenti
speculativi”. Considerazione, di per sé idonea a giustificare uno scostamento pur anomalo dai
parametri degli studi di settore, che il ricorso non critica, privando di efficacia la censura rivolta alla
prima parte della motivazione.
Va dunque respinto il ricorso. Senza decisione in punto spese, giacché il contribuente non si è
difeso.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.