Il fondo patrimoniale “tiene” se i debiti tributari sono contratti per scopi estranei alla famiglia

Spetta al giudice il giudizio, da effettuarsi secondo criteri soggettivi e non oggettivi, se i debiti tributari sono stati contratti per scopi estranei alla famiglia, così determinando l’impignorabilità dei beni conferiti in fondo patrimoniale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza 22212 del 3 novembre 2016 che, ribadendo che i debiti tributari si intendono presuntivamente contratti per soddisfare i bisogni della famiglia, perché l’attività imprenditoriale e/o professionale viene sempre svolta con tale fine, ha sancito che tale valutazione deve essere effettuata dal giudice non in senso oggettivo bensì soggettivo, in base alle scelte discrezionali dei coniugi. Se il contribuente debitore vuole evitare il pignoramento di questi beni deve sempre provare che sono stati effettivamente contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

La Cassazione ha sancito il seguente principio di diritto: “Il criterio identificativo per i debiti su cui può avere luogo l’esecuzione sui beni del fondo patrimoniale non riguarda la natura dell’obbligazione bensì la relazione tra il fatto generatore di essa ed i bisogni della famiglia. Questo in quanto, ancorché possa essere sufficiente per il creditore procedente che il debito tributario sia sorto nell’esercizio di un’attività imprenditoriale e/o professionale, occorre la sua attitudine a garantire il potenziale soddisfacimento dei bisogni familiari, intesi non in senso oggettivo bensì soggettivo, ossia come ritenuti tali dai coniugi in ragione dell’indirizzo della vita familiare prescelto. Il contribuente che intende avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti nel fondo patrimoniale deve provare, oltre alla sua regolare costituzione, anche che il debito per il quale il creditore sta procedendo è stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia. Questo al fine di consentire al giudice di pervenire, anche in via presuntiva, all’esclusione della loro riconducibilità ai bisogni della famiglia”.

Cassazione, sentenza 3 novembre 2016, n. 22212

Fonte: Il Sole 24 ore