Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 17 febbraio 2010, n. 3703
Fatto e diritto
Considerato quanto segue:
L’Ufficio delle entrate di Rieti rilevate le incongruenze nella contabilita’ della societa’ Sabema snc, esercente l’attivita’ di commercio all’ingrosso di bevande, in particolare il contrasto tra la merce venduta rispetto ai ricavi minimi dichiarati, emetteva avviso di accertamento per IRPEF 1992 applicando al costo del venduto il ricarico del 21%.
Di conseguenza imputava alla socia M. O. il maggior reddito di partecipazione e notificava il relativo avviso di accertamento.
La contribuente proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Rieti rilevando che l’ufficio non aveva provato quanto accertato e che i prezzi di gran parte dei prodotti venduti ai grossi clienti erano imposti dalla societa’ fornitrice ed erano diversi da quelli applicati alla generalita’ dei clienti.
La Commissione accoglieva il ricorso della contribuente, per le stesse ragioni per le quali aveva accolto il ricorso proposto dalla societa’, ritenendo che l’Ufficio non aveva indicato gli elementi sui quali, in presenza di contabilita’ regolare aveva fondato l’accertamento D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39.
L’Ufficio secondo i primi giudici non aveva prodotto la documentazione e le fatture prese a campione dalle quali aveva ricavato gli elementi per operare l’accertamento, mentre la contribuente aveva esibito documentazione utile a dimostrare l’illegittimita’ dell’accertamento.
L’Ufficio proponeva appello alla Commissione tributaria regionale di Roma, chiedendo la riforma della decisione di primo grado per gli stessi motivi dedotti nell’appello avverso la sentenza con la quale la Commissione provinciale aveva accolto il ricorso della n societa’.
Nell’atto d’appello osservava che la societa’ aveva evidenziato un utile di esercizio di L. 182.968.243 a fronte di ricavi per vendite per L. 2.723.304.211 con una evidente sproporzione visto che l’utile dichiarato risultava pari a 6,69%.
L’Ufficio precisava che era stata rilevata una percentuale di ricarico dichiarata nella misura del 18,21% ritenuta modesta e poco credibile tenuto conto delle caratteristiche dell’azienda e del tipo di attivita’ esercitata. Inoltre dall’esame della documentazione prodotta nonche’ dall’analisi delle fatture di acquisto e di vendita relative a merci maggiormente rappresentative con media ponderata si rilevava che il ricarico effettivamente applicato era del 37%. Dal che emergeva, secondo l’Ufficio, che la societa’ aveva posto in essere una contabilita’ che seppure formalmente regolare non era attendibile per l’evidente contrasto tra i valori dichiarati come costo della merce venduta rispetto ai ricavi minimi dichiarati. L’Ufficio concludeva quindi che non era giustificato il ricorso alla ricostruzione induttiva dei ricavi che era stata realizzata con l’applicazione al costo merce di un ricarico del 21% “assai prudenziale” (considerato che quello risultante dalle fatture delle merci piu’ rappresentative era del 37%).
L’Ufficio rilevava infine che la societa’ si era limitata a fornire copie di fatture di alcune merci, deducendo che alcune ditte imponevano i prezzi di vendita e pertanto il ricarico applicato dall’Ufficio non era veritiero. Questo pero’ non costituiva una prova e di conseguenza era del tutto generica e priva di riscontri l’affermazione dei primi giudici secondo i quali l’accertamento andava annullato “considerata anche la documentazione fornita dalla parte”. Di conseguenza chiedeva la riforma della decisione sul reddito di partecipazione della socia.
Con la sentenza in epigrafe la Ctr ha respinto l’appello dell’Ufficio. I giudici di appello hanno confermato la sentenza di primo grado ritenendo che “Nel caso in esame si tratta del reddito di partecipazione della Sabema di M. A. & SNC e con sentenza in data odierna questa Commissione ha respinto il relativo appello dell’Ufficio”.
Avverso la suddetta sentenza hanno proposto ricorso in Cassazione le Amministrazioni in epigrafe indicate eccependo violazione e falsa applicazione della normativa disciplinante la materia nonche’ omessa motivazione su punti decisivi della controversia.
La controparte non si e’ costituita nel presente giudizio. Come stabilito da questa Corte in materia tributaria, l’unitarieta’ dell’accertamento che e’ alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle societa’ di persone e delle associazioni di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 e dei soci delle stesse e la conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso tributario proposto, anche avverso un solo avviso di rettifica, da uno dei soci o dalla societa’ riguarda inscindibilmente sia la societa’ che tutti i soci – salvo il caso in cui questi prospettino questioni personali – sicche’ tutti questi soggetti devono essere parte dello stesso procedimento e la controversia non puo’ essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi; siffatta controversia, infatti, non ha ad oggetto una singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensi’ gli elementi comuni della fattispecie costitutiva dell’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, con conseguente configurabilita’ di un caso di litisconsorzio necessario originario. Conseguentemente, il ricorso proposto anche da uno soltanto dei soggetti interessati impone l’integrazione del contraddittorio ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14 (salva la possibilita’ di riunione ai sensi del successivo art. 29) ed il giudizio celebrato senza la partecipazione di tutti i litisconsorzi necessari e’ affetto da nullita’ assoluta, rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, anche di ufficio (Sezioni Unite 04.06.2008 n. 14815 Rv. 603330).
Nel caso di specie si trattava per l’appunto di una societa’ di persone e, pertanto, il contenzioso giudiziario doveva essere instaurato nei confronti di tutti i soci, cio’ che viceversa, nel caso concreto non e’ avvenuto.
Pertanto devono essere annullate le sentenze di primo grado e di appello con remissione della causa alla commissione provinciale competente per territorio che dovra’ attenersi al principio sopra riportato.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione cassa la sentenza di appello e di primo grado e rimette la causa ad altra sezione della commissione provinciale di Roma