Fatture fittizie: il proscioglimento penale va valutato dal giudice tributario


Il giudice tributario non può escludere, nel caso di presunti reati relativamente all’utilizzo di fatture oggettivamente inesistenti, l’efficacia delle sentenze penali di proscioglimento nel processo dovendo, per contro, effettuare una valutazione preventiva in base agli ulteriori risultati istruttori, anche di natura presuntiva. Con sentenza 5 luglio 2018, n. 17619, la Suprema Corte ha stabilito che, nell’esercizio dei propri poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti, il giudice deve sempre effettuare un adeguato apprezzamento del contenuto della decisione, ponendolo a confronto con gli altri elementi di prova acquisiti nel corso del giudizio.

Cassazione, 5 luglio 2018, n. 17619

 

 

Fonte: Il Sole 24 Ore

 

Spetta all’Agenzia delle Entrate provare la partecipazione del contribuente alla frode delle “cartiere”

La Commissione Tributaria Regionale, confermando la sentenza del giudice provinciale, sostiene che, nel caso di frode messa in atto dalla cosiddette “cartiere”, spetta all’Ufficio fornire elementi gravi e precisi, seppur indiziari, che provino la diretta partecipazione del contribuente al meccanismo fraudolento, non potendosi limitare all’affermazione che essa “non poteva non sapere” dell’esistenza della frode.

 

sentenza-ctr-venezia-24-04-2017-n-516

L’Amministrazione deve provare l’oggettiva inesistenza dell’operazione

In caso di contestazione di emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti, l’Agenzia delle Entrate deve provare l’inesistenza dell’operazione economica e non l’esistenza di un ragionevole sospetto in ordine all’inesistenza stessa.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza 11 novembre 2015, n. 23065, secondo la quale, sul piano probatorio, «qualora l’amministrazione contesti l’indebita detrazione di fatture, relative ad operazioni inesistenti, spetta alla stessa, adducendo la falsità del documento e quindi l’inesistenza di un maggior imponibile, provare che l’operazione commerciale in realtà non è stata mai posta in essere, anche attraverso elementi presuntivi».

Non è quindi sufficiente la prova da parte dell’amministrazione finanziaria di un «ragionevole sospetto in ordine all’inesistenza dell’operazione economica», ma occorre che la stessa fornisca in giudizio la prova della «inesistenza dell’operazione, anche mediante presunzioni».

Cassazione, sentenza 11 novembre 2015, n. 23065

Onere della prova per operazioni soggettivamente inesistenti a carico del contribuente

Intervenendo nuovamente sul tema dell’onere della prova in caso di contestazione di operazioni soggettivamente inesistenti, la Corte di Cassazione ha affermato che che spetta al contribuente provare di essere in buona fede, ossia di non sapere o di non aver potuto sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta.

Secondo la Suprema Corte, inoltre, la prova non può consistere solo nella circostanza che la merce sia stata consegnata e la fattura sia stata effettivamente pagata.
La sentenza 11661 depositata 5 giugno 2015 si colloca nel solco dell’orientamento giurisprudenziale prevalente (sentenza n. 25775 del 2014; 20059 del 2014; 17977 del 2013). 

Corte di Cassazione, sentenza 28 aprile 2015, 11661

 

Spetta all’Amministrazione Finanziaria la prova dell’inesistenza dell’inesistenza soggettiva dell’operazione

Incombe sull’Ente verificatore l’onere della prova della conoscenza (o della possibilità di conoscenza) da parte del contribuente, al momento dell’acquisto del bene, di essere partecipe di un’operazione fraudolenta posta in essere da altri soggetti. Spetta invece al contribuente provare l’ignoranza incolpevole della partecipazione all’operazione fraudolenta.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con sentenza depositata 10 giugno 2015, n. 12017.

Corte di Cassazione, sentenza 17.03.2015, n. 12017

Spetta al Fisco provare l’inesistenza delle operazioni fatturate

E’ a carico dell’Ente accertatore l’onere di provare l’emissione di fatture per operazioni inesistenti. L’assolvimento dell’onere probatorio deve essere valutato dal giudice, che deve motivare in sentenza le ragioni che lo hanno indotto a tale convinzione.

Lo ha stabilito la Corte di cassazione con sentenza 17 aprile 2015, n. 7845.

E’ onere dell’Agenzia la prova che il contribuente era a conoscenza dell’inesistenza soggettiva dell’operazione

Il contribuente può detrarre l’IVA relativa ad un’operazione inesistente se non conosceva o non non poteva conoscere che il proprio fornitore fosse una “cartiera”.

Lo ha sancito la Commissione Tributaria Regionale di Milano, affermando che la contribuente «non era tenuta ad effettuare controlli contabili sul proprio fornitore, vale a dire se lo stesso aveva tenuto una regolare contabilità e eseguito gli adempimenti fiscali quali, ad esempio, l’invio delle dichiarazioni dei redditi né effettuare altri controlli formali».

Spetta inoltre all’Agenzia fornire la prova della conoscenza o della conoscibilità del disegno criminoso del proprio fornitore.

Commissione Tributaria Regionale Lombardia, sentenza 4 febbriaio 2015, n. 461

Spetta al contribuente la prova nelle “frodi carosello”

Nelle frodi carosello l’acquirente dimostra la sua estraneità se dimostra che le condizioni economiche applicate dal fornitore sono analoghe a quelle adottate da fornitori terzi.

Lo ha sancito la Commissione Tributaria Regionale di Genova nella sentenza del 10 dicembre 2014, n. 69,

CTR Liguria 10.12.2014, n. 69

Detrazione operazioni inesistenti

Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 19 gennaio 2010, n. 735

 

100119 Detrazione operazioni inesistenti

Deducibilità Iva delle operazioni soggettivamente inesistenti

Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 19 gennaio 2010, n. 735
Svolgimento del processo
A seguito della verifica della G. di F. di Milano, conclusasi con p.v.c. del 4.4.2000, l’Ufficio IVA di Milano notificava alla EFFE Gi ELLE s.a.s. di F. F. e C. avviso di rettifica parziale della dichiarazione Iva per l’anno di imposta 1996 con cui elevava a L. 3.313.044.000 il maggiore importo IVA dovuto oltre sanzioni di pari importo. L’avviso si fondava su documenti rinvenuti in sede di verifica e sui controlli descritti nel p.v.c. citato dai quali emergeva l’indebita detrazione di imposta per effetto di fatture relative ad operazioni inesistenti. La contribuente presentava ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Milano, la quale lo respingeva. Proponeva appello la stessa societa’ ribadendo le tesi esposte in primo grado. La Commissione tributaria regionale della Lombardia rigettava il gravame.
Avverso la detta sentenza la contribuente ha quindi proposto ricorso per Cassazione articolato in tre motivi. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso.
La contribuente ha infine depositato memoria difensiva ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
Il controricorso presentato dal Ministero dell’economia e delle finanze, come pure il ricorso, in quanto proposto nei confronti dello stesso Ministero, sono inammissibili, per difetto della legittimazione attiva e passiva, atteso che l’appello presentato dalla contribuente fu depositato il 18.2.2003 – data successiva a quella (1.1.2001) di entrata in funzione delle agenzie fiscali – nei confronti della sola Agenzia delle entrate, succeduta a titolo particolare al Ministero nel diritto controverso. A riguardo, e’ appena il caso di osservare che, con riferimento ai procedimenti introdotti precedentemente alla detta data, questa Corte ha avuto modo di affermare il principio secondo cui, pronunciata la sentenza di primo grado nei confronti del dante causa, il giudizio di appello da quest’ultimo consapevolmente disertato e celebrato senza che alcuna delle parti reclamasse l’integrazione del contraddittorio, con successiva sentenza nei confronti del solo successore – cosi’ come e’ avvenuto nella vicenda processuale in esame – consente di ritenere integrati i presupposti per l’estromissione dell’alienante pur in assenza di un provvedimento formale (cfr. Cass. 1095 5/07), con la conseguenza che il nominato Ministero non puo’ ritenersi legittimato a resistere ed a controricorrere nel successivo grado di giudizio.
Passando all’esame del ricorso proposto dalla contribuente nei confronti dell’Agenzia, giova rilevare che con la prima doglianza, deducendo il vizio di omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata sulla base della considerazione che la CTR non avrebbe assolutamente argomentato riguardo all’asserita falsita’ della vendita di merce e delle fatture emesse dalla Global System S.a.s. e dalla Comital S.a.s., dilungandosi invece a trattare le fatture emesse dalla contribuente per acquisti da raccoglitori occasionali e facendo cio’ inutilmente “perche’ tali autofatture non sono state oggetto di rettifica da parte dell’Ufficio IVA”.
La doglianza e’ infondata. A tal fine, e’ utile premettere che, come risulta dalla lettura della sentenza di appello, la CTR, nella descrizione della vicenda processuale, aveva opportunamente evidenziato che i giudici di primo grado avevano fondato il loro convincimento sulle dichiarazioni rese in sede penale dal sig. F. F., rappresentante legale sia della EFFE GI ELLE s.a.s. sia della Global System S.a.s. e della Comital S.a.s. dichiarazioni con cui il F. aveva ammesso che il gruppo societario, allo scopo di emettere fatture false per la copertura delle forniture di rottami effettuate da raccoglitori operanti in nero, si era avvalso delle due societa’ collegate alla EFFE Gi ELLE, appunto la Global e la Comital, le quali svolgevano solo funzione di cartiere in quanto prive di locali, di beni strumentali, di personale dipendente nonche’ di impianto contabile.
Successivamente, nella parte motiva, sulla base di tale premessa esposta nella descrizione del fatto, la CTR si e’ soffermata a confutare la considerazione dell’appellante, secondo cui sarebbe stata inutilizzabile la dichiarazione del F. in quanto “rilasciata… in un procedimento penale non meglio precisato e contenuta in un foglio che sarebbe privo degli essenziali requisiti di identificazione”, sottolineando in senso contrario che la tesi dell’impugnante aveva perduto valore a seguito della precisazione fatta nel corso della pubblica udienza dai rappresentanti dell’Ufficio, i quali avevano puntualizzato come le dichiarazioni in parola fossero state rese nel corso del procedimento penale. 1714/98 RG NR, puntualizzazione quest’ultima che non era stata affatto contestata dall’appellante. Cio’ premesso, considerato che il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimita’, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta complessivamente dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia; considerato al contrario che non puo’ invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte perche’ la Corte di Cassazione non ha il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito; tutto cio’ premesso e considerato, appare evidente l’assoluta infondatezza della censura avanzata dalla ricorrente in quanto l’espresso riferimento, fatto dalla CTR, alle ammissioni del F. nel procedimento penale indicato e le considerazioni ivi esposte circa l’assenza di elementi in contrario, mai addotti dalla contribuente, spiegano in maniera assolutamente esaustiva le ragioni che hanno indotto la Commissione regionale a disattendere la censura sollevata dall’appellante riguardo all’asserita falsita’ della vendita di merce e delle fatture emesse dalla Global System S.a.s. e dalla Comital S.a.s..
Passando all’esame delle successive doglianze, deve precisarsi che la seconda censura, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione di legge (artt. 2697 e 2700 c.c.), si fonda sulla considerazione che la C.T.R. avrebbe errato quando ha posto illegittimamente a carico della contribuente l’onere di provare i fatti contrari alle deduzioni dell’Agenzia, inoltre – e tale rilievo sostanzia il terzo motivo articolato sotto il profilo della violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 19 e 21 e degli artt. 17 e 21 6^ Direttiva del Consiglio 17.5.1977 n.77/388/CEE – la CTR avrebbe ulteriormente sbagliato quando ha negato la detraibilita’ dell’IVA sulla sola base della presunta inesistenza soggettiva delle operazioni, trascurando che quest’ultima era una societa’ realmente operante ed era stata effettiva cessionaria della merce in questione.
I motivi in questione, riportati nella loro essenzialita’, possono essere trattati congiuntamente, proponendo profili di censura sostanzialmente connessi. A riguardo, torna utile premettere che questa Corte con indirizzo ormai consolidato ha avuto modo di affermare il principio secondo cui “in tema di IVA, l’emissione della fattura da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione non e’ riconducibile alla fattispecie, prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 41, comma 3, dell’emissione di fattura recante indicazioni incomplete o inesatte, ne’ a quella, prevista dall’art. 21, comma 2, n. 1, del medesimo D.P.R., di omissione dell’indicazione dei soggetti tra cui e’ effettuata l’operazione, ma va qualificata come fatturazione di un’operazione soggettivamente inesistente, per la quale dev’essere versata la relativa imposta, ai sensi dell’art. 21 cit., non essendo consentita la detrazione di fatture emesse da chi non e’ stato controparte nel rapporto riguardante l’operazione fatturata (cfr. da ultimo Cass. n. 5719/07, n. 1950/07).
Cio’ premesso, la stessa Corte ha statuito che l’effettivita’ dell’acquisto dei beni entrati nella disponibilita’ patrimoniale dell’impresa utilizzatrice delle fatture in una alla provenienza della merce da ditta diversa da quella figurante sulle fatture non sono indifferenti ai fini dell’IVA, dal momento che la qualita’ del venditore puo’ incidere sulla misura dell’aliquota e, per conseguenza, sull’entita’ dell’imposta che l’acquirente puo’ legittimamente detrarre. (Cass. n. 29467/08). Pertanto, il diritto alla detrazione non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell’avvenuta corresponsione di imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresi’, che l’imposta sia effettivamente dovuta e, cioe’, corrispondente ad operazione effettivamente soggetta all’iva. Cio’ perche’ il particolare meccanismo che presiede al funzionamento dell’iva postula la ricorrenza
dell’ulteriore requisito della detraibilita’, costituito dell’”inerenza all’impresa” dell’operazione fatturata; requisito, che, al pari degli altri, e’ onere del contribuente comprovare (cfr. Cass. 13205/03, 11109/03, 15228/01).
In proposito, questa Corte ha statuito che, in ipotesi di inesistenza soggettiva – nella quale, pur essendo i beni entrati nella disponibilita’ patrimoniale dell’impresa cessionaria, risulti che l’emittente della fattura e’ soggetto diverso dal cedente – prestatore – l’obbligo di corrispondere l’importo corrispondente all’imposta sull’operazione soggettivamente inesistente deriva dal precetto normativo di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21, comma 7, mentre risulta evasa l’imposta dovuta, in base al fisiologico funzionamento dei meccanismo IVA, per l’operazione effettivamente realizzata (in tal senso: v. Cass. 6378/06).
Sulla base di tali premesse, il costo dell’iva versata sulla fattura relativa ad operazione soggettivamente inesistente si appalesa quale costo non necessariamente inerente. Invero, il rapporto con lo svolgimento della specifica attivita’ dell’impresa (che da diritto alla detrazione) e, quindi, l’inerenza risulta connaturalmente sussistere in relazione all’iva, che sarebbe dovuta sull’operazione compiuta con l’effettivo cedente – prestatore, e che, tuttavia, resta evasa. L’iva corrisposta al soggetto interposto e, invece, costo, che, in realta’, non puo’ considerarsi inerente allo svolgimento della attivita’ istituzionale dell’impresa, in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalita’ ulteriori e diverse, tali da rompere in messo di inerenza. Gli indicati riscontri non possono, d’altro canto, esaurirsi nell’accertamento dell’avvenuta consegna della merce e di quello del pagamento della merce medesima e dell’iva riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto al tema della prova, in rapporto alle peculiarita’ del meccanismo dell’iva e dei relativi abusi; mentre, in base ai criteri generali in tema di onere della prova, essi vanno provati dal committente – cessionario che intende avvalersi della detrazione (Cass. n. 1950/07 in motivazione).
In definitiva, non rileva assolutamente, ai fini che interessano la vicenda in esame, sottolineare che i rottami metallici siano stati effettivamente acquistati e che dei costi siano stati quindi effettivamente sostenuti (cosi’, la ricorrente nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c.). Se e’ vero infatti che la riconosciuta inesistenza delle operazioni fatturate dal punto di vista soggettivo non esclude la deducibilita’, ai fini dell’imposta sul reddito, dei costi sostenuti per l’acquisto dei beni da soggetti diversi da quelli indicati in fattura del resto, l’acquisto in nero non e’ un elemento del reato di emissione o utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti (cfr L. n. 74 del 2000) – non puo’ trascurarsi in senso contrario che la riconoscibilita’ dei costi e’ comunque soggetta al relativo regime probatorio. Cio’ posto, premesso che secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, precedentemente richiamata, la prova dell’esistenza, inerenza e competenza del costo incombe al contribuente, occorre altresi’ sottolineare che tale prova deve essere particolarmente rigorosa e non puo’ certo consistere nel ricorso a regole di esperienza. Ed invero, l’abrogazione, ad opera del D.P.R. 9 dicembre 1996, n. 695, art. 5 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, comma 6 pur avendo avuto l’effetto di ammettere il contribuente alla prova dei costi suddetti (in precedenza radicalmente preclusa), anche con mezzi diversi dalle scritture contabili, richiede che gli elementi probatori forniti dal contribuente siano certi e precisi, come prescritto dell’art. 75, comma 4 (cfr. Cass. 10964/07. 18000/06 4218/06, 10090/02).
Pertanto, la generica affermazione che l’impresa abbia comunque acquistato i beni fatturati da soggetti differenti da quelli indicati in fatture – la Global System e la Comital, prive di locali, beni strumentali, personale dipendente, struttura contabile, erano soltanto mere cartiere – non fornisce alcun elemento certo e minimamente rassicurante circa la correttezza della quantificazione del costo indicato, della sua inerenza e della sua riferibilita’ all’anno di imposta in contestazione.
Considerato che la sentenza impugnata appare in linea con il principio richiamato, ne consegue che il ricorso per Cassazione in esame, siccome infondato, deve essere rigettato.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili il ricorso proposto nei confronti del Ministero ed il controricorso proposto da quest’ultimo. Rigetta il ricorso proposto contro l’Agenzia, Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese processuali che liquida in Euro 10.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge