Legittimo l’accertamento parziale e induttivo?
L’articolo 7 dello Statuto dei diritti del contribuente[1], l’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241[2] e, più in particolare in merito al contenuto dell’avviso di accertamento, l’articolo 42 del D.P.R. 29 settembre, n. 600[3], prevedono che gli atti dell’Amministrazione finanziaria siano motivati e debbano recare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione dell’amministrazione.
La funzione della motivazione risponde al principio di buona amministrazione, ovvero all’esigenza che l’azione amministrativa sia esplicata in modo appropriato in vista del perseguimento dell’interesse presidiato dalla legge. La giurisprudenza della Suprema Corte[4] ha ben spiegato che la motivazione chiarisce “il nesso corrente tra la norma tributaria e l’obbligazione affermata esistente nella situazione concreta, onde circoscrivere la materia del contendere”, precisando che la stessa costituisce lo strumento essenziale di garanzia del diritto di difesa del contribuente, che deve essere posto nelle condizioni di conoscere la pretesa tributaria e le norme in base alle quali la stessa è stata determinata. In merito alla scelta del tipo di accertamento attraverso il quale esercitare il potere impositivo e sanzionatorio, in particolare, l’Amministrazione non è libera, ma vincolata all’esistenza di precise situazioni di fatto. Il contribuente, pertanto, deve essere posto in grado di conoscere il tipo di accertamento che l’Agenzia delle Entrate ha inteso effettuare nei suoi confronti e le norme che lo prevedono e disciplinano.
Gli atti emessi dall’Agenzia delle entrate sono spesso emessi “ai sensi degli (articoli) 39 comma 2, 41 bis e 43 del D.P.R. 600/1973 e dell’art. 54 del D.P.R. 633/1972”. La dichiarazione è, quantomeno, disorientante per la contribuente, posto che le norme richiamate fanno riferimento a tre tipi di accertamento, aventi presupposti e modalità di esecuzione assolutamente contrastanti, mentre risulta del tutto inconferente il riferimento all’articolo 43 del D.P.R. 600/1973.
L’articolo 39, comma 2, del D.P.R. 600/1973[6] regola l’accertamento induttivo, che consente, a determinate condizioni, di accertare il contribuente prescindendo dalle risultanze delle scritture contabili, avvalendosi di presunzioni “semplicissime”, ovvero prive dei requisiti di gravità precisione e concordanza. L’accesso all’accertamento induttivo è consentito solo a condizione di gravi irregolarità contabili che non consentano di determinare il reddito in modo analitico.
Diversi sono i presupposti che permettono di procedere con l’accertamento regolato dall’articolo 41 bis del D.P.R. 600/73[7], che autorizza i verificatori ad accertare il contribuente, seppur in forma parziale, quando siano in possesso di prove certe che consentano di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato. L’accertamento parziale, quindi, non può essere supportato da presunzioni, ma da elementi certi in possesso dell’amministrazione.
In materia di IVA, poi, l’articolo 54 del D.P.R. 633/72[8] prevede la rettifica delle dichiarazioni sulla base di dati certi o, al più, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti. E’ escluso che l’articolo possa riguardare accertamenti induttivi fondati su presunzioni semplicissime, poiché tale fattispecie è regolata dal successivo articolo 55 rubricato, appunto “Accertamento induttivo”.
Assolutamente fuorviante è, infine, il riferimento all’articolo 43 del D.P.R. 600/73[9], poiché lo stesso non regola un tipo di accertamento ma il termine per effettuarli.
In questi casi non è chiaro quale sia il tipo giuridico sul quale è stato costruito l’avviso di accertamento impugnato. Questo tipi di accertamento in una prima parte evidenziano rilievi che sembrano introdurre un accertamento analitico (“la società risultava aver illegittimamente dedotto dal reddito d’impresa costi non documentati”). In altre parti, il raffronto con la redditività e l’incidenza dei costi sembra far riferimento ad un accertamento fondato su presunzioni ex articolo 39, comma 2, del DPR 600/73.
Il diritto di difesa del contribuente, nel caso in esame, risulta assolutamente confiscato, risultando praticamente impossibile opporsi ad un atto assolutamente carente sotto il profilo logico, oltre che fattuale.
[1] Legge 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1.
[2] Legge 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1.
[3] D.P.R. 29 settembre, n. 600, art. 42, comma 2.
[4] Corte di Cassazione, sentenza 17 ottobre 2014, n. 22003.
[6] D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, articolo 39, comma 2: “In deroga alle disposizioni del comma precedente l’ufficio delle imposte determina il reddito d’impresa sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti e di avvalersi anche di presunzioni prive dei requisiti di cui alla lettera d) del precedente comma (…)”.
[7] D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, articolo 41 bis: “Senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti dall’articolo 43, i competenti uffici dell’Agenzia delle entrate, qualora dalle attività istruttorie di cui all’articolo 32, primo comma, numeri da 1) a 4), nonché’ dalle segnalazioni effettuati dalla Direzione centrale accertamento, da una Direzione regionale ovvero da un ufficio della medesima Agenzia ovvero di altre Agenzie fiscali, dalla Guardia di finanza o da pubbliche amministrazioni ed enti pubblici oppure dai dati in possesso dell’anagrafe tributaria, risultino elementi che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parzialmente dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare il reddito imponibile, compresi i redditi da partecipazioni in società, associazioni ed imprese di cui all’articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, o l’esistenza di deduzioni, esenzioni ed agevolazioni in tutto o in parte non spettanti, nonché’ l’esistenza di imposte o di maggiori imposte non versate, escluse le ipotesi di cui agli articoli 36-bis e 36-ter, possono limitarsi ad accertare, in base agli elementi predetti, il reddito o il maggior reddito imponibili, ovvero la maggiore imposta da versare, anche avvalendosi delle procedure previste dal decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218. Non si applica la disposizione dell’articolo 44”.
[8] D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 54: “L’Ufficio dell’imposta sul valore aggiunto procede alla rettifica della dichiarazione annuale presentata dal contribuente quando ritiene che ne risulti un’imposta inferiore a quella dovuta ovvero una eccedenza detraibile o rimborsabile superiore a quella spettante. L’infedeltà della dichiarazione, qualora non emerga o direttamente dal contenuto di essa o dal confronto con gli elementi di calcolo delle liquidazioni di cui agli artt. 27 e 33 e con le precedenti dichiarazioni annuali, deve essere accertata mediante il confronto tra gli elementi indicati nella dichiarazione e quelli annotati nei registri di cui agli artt. 23, 24 e 25 e mediante il controllo della completezza, esattezza e veridicità delle registrazioni sulla scorta delle fatture ed altri documenti, delle risultanze di altre scritture contabili e degli altri dati e notizie raccolti nei modi previsti negli artt. 51 e 51-bis. Le omissioni e le false o inesatte indicazioni possono essere indirettamente desunte da tali risultanze, dati e notizie a norma dell’art. 53 o anche sulla base di presunzioni semplici, purché’ queste siano gravi, precise e concordanti. L’ufficio può tuttavia procedere alla rettifica indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità del contribuente qualora l’esistenza di operazioni imponibili per ammontare superiore a quello indicato nella dichiarazione, o l’inesattezza delle indicazioni relative alle operazioni che danno diritto alla detrazione, risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture di cui ai numeri 2), 3) e 4) del secondo comma dell’articolo 51, dagli elenchi allegati alle dichiarazioni di altri contribuenti o da verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti in suo possesso.
[9] D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, articolo 43: “Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla l’avviso di accertamento può essere notificato entro il 31 dicembre del settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata. Fino alla scadenza del termine stabilito nei commi precedenti l’accertamento può essere integrato o modificato in aumento mediante la notificazione di nuovi avvisi, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi da parte dell’Agenzia delle entrate. Nell’avviso devono essere specificamente indicati, a pena di nullità, i nuovi elementi e gli atti o fatti attraverso i quali sono venuti a conoscenza dell’ufficio delle imposte”.