Illegittimo per contraddittorietà della motivazione il provvedimento che non indica puntualmente il tipo di accertamento

Accade sempre più spesso che gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle Entrate riportino riferimenti plurimi alle norme in tema di accertamento. Così può accadere che il contribuente riceva un avviso di accertamento emesso “ai sensi degli (articoli) 39 comma 2, 41 bis del D.P.R. 600/1973 e dell’art. 54 del D.P.R. 633/1972”.

L’articolo 7 dello Statuto dei diritti del contribuente, l’articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241 e, più in particolare in merito al contenuto dell’avviso di accertamento, l’articolo 42 del D.P.R. 29 settembre, n. 600, prevedono che gli atti dell’Amministrazione finanziaria siano motivati e debbano recare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che determinano la decisione dell’amministrazione.

La funzione della motivazione risponde al principio di buona amministrazione, ovvero all’esigenza che l’azione amministrativa sia esplicata in modo appropriato in vista del perseguimento dell’interesse presidiato dalla legge. La giurisprudenza della Suprema Corte (sentenza 17 ottobre 2014, n. 22003) ha ben spiegato che la motivazione chiarisce “il nesso corrente tra la norma tributaria e l’obbligazione affermata esistente nella situazione concreta, onde circoscrivere la materia del contendere”, precisando che la stessa costituisce lo strumento essenziale di garanzia del diritto di difesa del contribuente, che deve essere posto nelle condizioni di conoscere la pretesa tributaria e le norme in base alle quali la stessa è stata determinata. In merito alla scelta del tipo di accertamento attraverso il quale esercitare il potere impositivo e sanzionatorio, in particolare,  l’Amministrazione non è libera, ma vincolata all’esistenza di precise situazioni di fatto. Il contribuente, pertanto, deve essere posto in grado di conoscere il tipo di accertamento che l’Agenzia delle Entrate ha inteso effettuare nei suoi confronti e le norme che lo prevedono e disciplinano.

E’ sempre meno raro che l’accertamento sia effettuato “ai sensi degli (articoli) 39 comma 2, 41 bis  del D.P.R. 600/1973 e dell’art. 54 del D.P.R. 633/1972”. Questo tipo di dichiarazione è, quantomeno, disorientante per il contribuente, posto che le norme richiamate fanno riferimento a tre tipi di accertamento aventi presupposti e modalità di esecuzione assolutamente contrastanti.

L’articolo 39, comma 2, del D.P.R. 600/1973 regola l’accertamento induttivo, che consente, a determinate condizioni, di accertare il contribuente prescindendo dalle risultanze delle scritture contabili, avvalendosi di presunzioni “semplicissime”, ovvero prive dei requisiti di gravità precisione e concordanza. L’accesso all’accertamento induttivo è consentito solo a condizione di gravi irregolarità contabili che non consentano di determinare il reddito in modo analitico.

Diversi sono i presupposti che permettono di procedere con l’accertamento regolato dall’articolo 41 bis del D.P.R. 600/73, che autorizza i verificatori ad accertare il contribuente, seppur in forma parziale, quando siano in possesso di prove certe che consentano di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato. L’accertamento parziale, quindi, non può essere supportato da presunzioni, ma da elementi certi in possesso dell’amministrazione.

In materia di IVA, poi, l’articolo 54 del D.P.R. 633/72 prevede la rettifica delle dichiarazioni sulla base di dati certi o, al più, sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti. E’ escluso che l’articolo possa riguardare accertamenti induttivi fondati su presunzioni semplicissime, poiché tale fattispecie è regolata dal successivo articolo 55 rubricato, appunto “Accertamento induttivo”.

Non è chiaro, in questi casi, quale sia il tipo giuridico sul quale è stato costruito l’avviso di accertamento impugnato. Parrebbe di capire che, sulla base dei medesimi fatti, l’Agenzia delle Entrate effettui un accertamento induttivo ai fini delle imposte dirette e un accertamento analitico ai fini IVA.

Il diritto di difesa del contribuente ne risulta assolutamente confiscato e, pertanto, l’accertamento deve ritenersi illegittimo per contraddittorietà della motivazione, poiché non pone il contribuente nelle condizioni di poter sindacare sui presupposti che consentono l’uno o l’altro tipo di accertamento.

 

Odontoiatri, legittimo l’accertamento in base al numero di guanti monouso utilizzati

E’ ammesso l’accertamento analitico-induttivo fondato sul consumo di guanti monouso utilizzati dal professionista per lo svolgimento dell’attività di odontoiatra, considerata la sussistenza di una correlazione tra il materiale di consumo impiegato e gli interventi effettuati sui pazienti. Lo ha stabilito la Suprema corte con corte-di-cassazione-ordinanza-25-settembre-2019-n-23956.

Secondo i giudici di legittimità il consumo unitario di prodotti monouso, così come il numero degli stessi, costituisce un fatto noto in grado di far ragionevolmente presumere la numerosità delle prestazioni effettivamente eseguite dal professionista ai fini della ricostruzione dei compensi percepiti e di andare a supportare, di conseguenza, una procedura di accertamento analitico-induttivo.

L’ordinanza: corte-di-cassazione-ordinanza-25-settembre-2019-n-23956

 

L’accertamento induttivo, applicabile solo nei casi previsti dalla legge, non può prescindere dalla capacità contributiva

Il ricorso al metodo induttivo può essere applicato solo nel caso sia verificata l’incompletezza, la falsità e l’inesattezza delle dichiarazioni rispetto ai dati emersi nelle verifiche. E’ quanto stabilito dalla CTP di Treviso che, accogliendo il ricorso del contribuente, ha affermato che i casi di accesso all’accertamento induttivo solo nei casi previsti dall’articolo 39 del dpr 600. L’applicazione del metodo induttivo, inoltre, non può ignorare i principi della capacità contributiva e deve in ogni caso tener presente la realtà propria del contribuente e la natura della sua realtà.

CTP Treviso, sentenza 23 dicembre 2015, n. 721

 

L’accertamento iniziato con il metodo analitico-induttivo non può continuare con il metodo analitico puro

Una volta che l’ufficio ha determinato i redditi su base analitico-induttiva, limitandosi alla una rettifica selettiva delle scritture contabili del contribuente, non è possibile il recupero con il metodo induttivo puro, facendo cioè valere presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza.

Lo ha stabilito la Suprema Corte con sentenza 19 agosto 2015, n. 16979, che ha puntualizzato che nel caso la verifica sia iniziata con l’adozione del metodo analitico induttivo, l’Ufficio è tenuto solo a completare le lacune rilevate in contabilità, ai fini della dimostrazione dell’esistenza di componenti positivi del reddito non dichiarati, tramite presunzioni che abbiano le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza. Non può, pertanto, prescindere dalle scritture contabili.

Gravità, precisione e concordanza negli accertamenti analitico-induttivi

E’ indice di mancanza dei requisiti di gravità, precisione e concordanza l’abbattimento della richiesta da parte dell’Agenzia delle entrate nel caso di accertamento analitico-induttivo basato sulla ricostruzione dei redditi in base alle ore lavorate.

 

Sentenza CTP Treviso 30.06.2010, n. 102

Rimborso Irap al professionista senza autonoma organizzazione

Non realizza il quid pluris organizzativo il professionista che impiega nella professione beni di modesta entità.

Sentenza CTP Treviso 23.06.2010, n. 63